Armocromia - Le origini


Qualche post fa, ho spiegato molto sinteticamente cosa sia l’armocromia, accennando a un approfondimento sulle sue origini. Grazie a tanti siti e a Lorenzo che mi aiuta con l'inglese, è suonata l’ora di storia dell’analisi del colore!

Goethe nella campagna romana, ritratto di Wilhelm Tischbein (1787)

La teoria del colori per eccellenza è quella che intitola il trattato di Johann Wolfgang von Goethe. Pubblicato nel 1810, questo testo ampliava e si contrapponeva allo studio sull’Ottica che Isaac Newton aveva pubblicato un secolo prima, nel 1704.
Fedele allo spirito della sua epoca, Goethe analizzò i colori, la loro natura e il loro comportamento, sia dal punto di vista fisico, sia da quello spirituale. Lo scrittore era così appassionato dall’argomento che affermò di non essere orgoglioso delle proprie poesie quanto lo era della Teoria dei colori. La sua opera non ebbe molta fortuna in ambiente scientifico, mentre fu una grande fonte d’ispirazione in ambito filosofico e, naturalmente, artistico.


Dei quattro volumi che compongono La teoria dei colori di Goethe sono disponibili in italiano il primo, la cosiddetta “parte didattica” (La teoria dei colori, Milano, Il Saggiatore, 2008) e il terzo, la “parte storica” (La storia dei colori, Milano, Luni Editrice, 2013).

Michel E. Chevreul

Da uno scrittore a un chimico: Michel Eugène Chevreul, nel 1839, scrisse anche lui quattro trattati sul colore, che divennero un punto di riferimento nello studio del colore fino alla fine del secolo. I suoi principi del contrasto successivo (fissando intensamente un colore e subito dopo uno spazio bianco, si ha l’impressione di vedere, molto tenue, il colore opposto a quello osservato) e di quello simultaneo (due colori complementari, se affiancati, sembrano più squillanti e “vibrano” dove si uniscono) furono determinanti per l’arte e il design industriale, in particolare quello tessile, ramo per il quale Chevreul lavorava.
Negli anni ‘50 del XIX secolo, le sue idee sull’armonia dei colori sbarcarono negli Stati Uniti e furono pubblicate sulla rivista Godey’s Lady’s Book, dove alle lettrici furono suggeriti i colori adatti alle more e quelli per le bionde.


Ecco un nome ben noto agli appassionati di colore: Albert Henry Munsell, pittore e insegnante d’arte americano, studiò teoria del colore in Francia, dove poté osservare le opere di tappezzeria di Chevreul. È rimasto celebre per l’omonimo sistema dei colori, che Munsell classificava in base a tonalità (Hue), luminosità (Value) e saturazione, o purezza (Chroma). La tonalità individua il colore vero e proprio (rosso, giallo, blu, etc.); la luminosità indica quanto un colore sia chiaro o scuro (quindi quanto tenda verso il bianco o verso il nero); la saturazione spiega quanto un colore sia più o meno intenso (quindi quanto tenda verso il colore puro o verso il grigio).
Il sistema Munsell numera i colori in base a queste tre coordinate e si sviluppa graficamente in una sfera, il cui asse verticale indica i gradi di luminosità, da 0 (nero) a 10 (bianco). Sulla superficie della sfera, un cerchio orizzontale simile all’equatore indica con delle sigle le diverse tonalità: cinque colori principali (R/rosso, Y/giallo, G/verde, B/blu, P/viola) e cinque intermedi (YR/giallo-rosso, GY/verde-giallo, BG/blu-verde, PB/viola blu, RP/rosso-viola). Infine, la purezza è misurata da 0 (grigio) a 16 (colore vibrante) osservando la distanza del colore dall’asse della luminosità verso l’esterno.

Albert H. Munsell

Questo sistema fu messo a punto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, da subito ampiamente utilizzato dalle colorerie industriali per la produzione di palette di colori e in seguito persino adottato ufficialmente dal Dipartimento dell’Agricoltura statunitense, per le ricerche sul suolo. Alla morte di Munsell, nel 1918, uno dei figli continuò la sua opera fondando la Munsell Color Foundation.


Nello stesso anno, iniziò a sbocciare l'armocromia per come la conosciamo, grazie al genio del trucco, Max Factor. Giunto negli Stati Uniti all'inizio del secolo con una già solida esperienza nella cosmesi, Factor rivoluzionò il settore creando prodotti più confortevoli, dando una spinta propulsiva al trucco correttivo grazie all'uso del "calibratore di bellezza" (un marchingegno che misurava le aree del viso, permettendo di correggerne le asimmetrie) e, soprattutto, introducendo il principio della Colour Harmony, ovvero l'armonia tra i colori del trucco e quelli di pelle, occhi e capelli della persona. Inventò anche il termine stesso di make-up. Dai consigli ottocenteschi sui colori degli abiti per le more e per le bionde all'armonia tra i colori del viso e quelli del trucco, l'armocromia - o Color Analysis - era già a buon punto.

Max Factor al lavoro

L'armocromia deve molto alle osservazioni di Johannes Itten. Artista e docente svizzero (insegnò anche al Bauhaus), sviluppò i principi dei suoi predecessori ed elaborò il concetto di “colore soggettivo”, cioè quegli accostamenti di colori che una persona sceglie d’istinto come rispondenti al proprio carattere ma anche al proprio aspetto fisico, forme comprese.
Secondo Itten, il colore soggettivo è “l’aura della persona” ed è un’idea che, seppur secondaria rispetto agli altri principi della teoria del colore, può fare la differenza nella produzione artistica. Visto che qui si parla di armocromia, certamente è un concetto che fa la differenza nell’estetica, nell’immagine di sé e, perché no, anche nell’autostima.

Johannes Itten

Lo studio sul colore che Itten completò nel 1961 è stato pubblicato in Italia da Il Saggiatore col titolo: Arte del colore. Esperienza soggettiva e conoscenza oggettiva come vie per l’arte. Non è facile reperire la versione estesa, mentre è molto diffusa l’edizione ridotta.


Tra i ruggenti anni ’20 e ‘30, l’artista americano Robert C. Dorr osservò che colori diversi risultavano più armoniosi tra loro se si usavano sfumature dallo stesso sottotono, o giallo (caldo), o blu (freddo). Dorr studiò a lungo la psicologia dei colori e applicò la sua teoria dei sottotoni lavorando come consulente cromatico in ambito industriale: prima nell’arredamento, poi nell’industria tessile, infine nella cosmesi.
Creò il Color Key System, ovvero due palette composte da 170 colori ciascuna, chiamate Chiave I e Chiave II; la prima era adatta alle persone che, a prescindere dall’etnia, presentano pelle, capelli e persino denti dal sottotono freddo, la seconda per le persone dal sottotono caldo. I colori simbolo delle due palette erano il magenta (Chiave I, freddo) e l’arancio (Chiave II, caldo). Dagli anni ’50 in poi, Dorr insegnò il suo programma Color Key, diventando di fatto il pioniere dell’armocromia intesa come mestiere.

Suzanne Caygill

Nel periodo in cui Dorr si affermò come consulente cromatico per la persona, la stilista ed esperta di design Suzanne Caygill elaborò un proprio metodo di analisi del colore, probabilmente inflenzata sia dal Color Key System, sia dalla sua socia Edith Head, consulente d’immagine per gli studios di Hollywood. Come Dorr, anche la Caygill aveva studiato decorazione d’interni e psicologia del colore e negli anni ’50 conduceva Living with Suzanne, un programma televisivo in cui parlava di moda e miglioramento di sé. Gran parte del suo lavoro consisteva nel creare guide e palette individuali per i propri clienti, perché riteneva che stile, colore e personalità fossero legati a doppio filo.
Nel 1980, raggiunta una buona fama e con l’armocromia ormai sulla cresta dell’onda, fondò la sua Accademia del Colore e pubblicò il testo Color: the Essence of You, nel quale individuava diversi sottogruppi per ogni stagione, ai quali dava nomi evocativi come “autunno metallico”, “inverno dinamico” e “primavera precoce”.


Proprio tra gli anni ’70 e ’80, la produzione di testi sull’armocromia raggiunse l’apice... Tanto che a loro verrà dedicato un altro post!

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